Norchia: la necropoli etrusca più bella del Lazio!
Who that has visited this spot can forget the ruined church of Lombard architecture, wasting its simple beauty on the stupid gaze of the shepherd, the only frequenter of these wilds? Who that has an eye for the picturesque, can forget the tall cliffs on which it stands — here, perforated so as to form a bridge, there, dislocated, and cleft to their very base, — the rich red and grey tufo half-mantled with the evergreen foliage of cork, ilex, and ivy? Who can forget the deep glens around, ever wrapt in gloom, where the stillness is broken only by the murmurs of the stream, or by the shriek of the falcon — solitudes teeming with solemn memorials of a past, mysterious race — with pompous monuments mocking their very purpose; for, raised to perpetuate the memory of the dead, they still stand, while their inmates have for ages been forgotten? He who has visited it must admit, that though nameless and unchronicled, there are few sites in Etruria so interesting as this — none which more imperatively demand the attention of the antiquarian.
George Dennis - Cities and cemeteries of Etruria
La Tuscia Viterbese è uno scrigno di tesori inestimabili, tesori che altrove sarebbero oggetto di valorizzazione e promozione turistica ma la strada sterrata che ci conduce allo spiazzo dal quale parte il sentiero per Norchia, l’antica Orclae (il cui nome è misterioso - forse deriva da Ercole, oppure indica una divinità etrusca), ci indica che l’area archeologica che andremo a scoprire è forse davvero un luogo sconosciuto ai più.
Infatti, non sembra essere cambiato molto dai tempi in cui George Dennis, eccentrico e colto esploratore inglese, attraversava in lungo e in largo l'Etruria storica per poi produrre la sua opera monumentale, Cities and Cemeteries of Etruria, pubblicata nel 1848 e nel quale ammetto di ritrovare uno spirito affine.
I torrenti dell’Acqua Alta e del Pile e il fiume Biedano nei millenni hanno eroso questo vasto pianoro brullo, lasciando una lingua di tufo rosso dove si sono poi insediate le civiltà successive, partendo dal Paleolitico Superiore (intorno al 14000 a.C.) fino all’abbandono del sito nel 1453 a causa della malaria. La città venne poi riscoperta da Francesco Orioli e Padre Pio Semeria nel 1808 che sono noti anche per gli scavi di Castel d’Asso, un altro sito etrusco del Viterbese del quale scriverò in futuro. Fin dal quarto secolo a.C., Norchia fu città satellite di Tarquinia, insediamento agricolo e strategico probabilmente governata da uno zilath, un magistrato supremo eletto per un anno. L’ascesa di Roma e il declino di Tarquinia, avrebbe poi dopo la fine del terzo secolo a.C. fatto entrare Norchia nell’orbita romana.
Nonostante siamo agli inizi di Marzo, la vegetazione avvolge le testimonianze storiche dell’antica città, rendendo la nostra esplorazione più avventurosa del previsto e i corsi d’acqua sono ingrossati dalle piogge recenti. Ma ciò che impressiona di più è il silenzio e la solitudine che avvolge questo luogo all’apparenza immutato dai tempi di Dennis.
Scendendo lungo il percorso che si affaccia sul fosso Pile sopra il quale si staglia la rovina del castello dei Di Vico ci avventuriamo tra le prime tombe della necropoli etrusca, principalmente del tipo “a dado”. Notiamo delle variazioni nei dettagli architettonici, ma tutte le strutture sepolcrali sono coronate da uno spazio dedicato ai sacrifici funerari raggiungibile percorrendo una scalinata ripida mentre le camere sepolcrali, spoglie e semplici, sono nascoste al di sotto della facciata, spesso alla fine di una scalinata o dromos. All’interno sono sparsi resti di sarcofagi, oppure i loculi sono scavati direttamente nel tufo. E’ sicuramente curioso come la monumentalità degli esterni sia in netto contrasto con la semplicità degli spazi interiori dove erano sepolti i membri del clan.
Ad ogni tomba gli archeologi hanno dato un nome, in base alle iscrizioni o in base agli apparati ed elementi decorativi ed architettonici: Ciarlanti, Camino, Smurinas, Veie, Prostila, Vel Ziluse, Charun e Gemini, tra le altre.
Dal basso, la facciata di questa necropoli è monumentale e suggestiva: e questa era sicuramente l’intenzione degli abitanti di Norchia. Sicuramente però non pretendevano di esagerare come fa Dennis paragonando il monumento ad un Colosseo interrato!
“Were the chasms of the Colosseum closed, the slopes of its seats banked over with earth, carpeted with sward, and fringed with trees instead of bushes, and its encircling wall of masonry adorned with cornices inside as well as out, it would present a lively resemblance to this singular glen, which is the most imposing spot in the whole compass of Etruscan cemeteries.”
Credo sia un ottimo momento per soffermarsi brevemente sui rituali funerari etruschi. I sarcofagi di Norchia ci ricordano che la pratica dell’inumazione fosse la più diffusa nella civiltà etrusca (a differenza dell’incinerazione comune presso i Villanoviani). Come in altre civiltà, il corredo e la struttura della tomba si rifacevano al mondo dei vivi, poiché era credenza diffusa che l’anima del defunto avrebbe continuato ad esistere nell’Aldilà. Il rituale funerario, soprattutto per delle tombe tanto monumentali come quelle di Norchia, doveva essere dispendioso, elaborato e doveva coinvolgere l’intera comunità. Oltre alla tumulazione della salma, dovevano avere luogo banchetti rituali, giochi (che potrebbero aver ispirato le lotte tra gladiatori nell’antica Roma), spettacoli musicali e molte altre celebrazioni che avrebbero preceduto la chiusura del sepolcro. Per il deceduto iniziava così il lungo viaggio accompagnato dalle divinità infernali in un altro mondo, ben separato dal mondo dei vivi ma allo stesso tempo legato indissolubilmente ad esso.
Continuiamo lungo il torrente Pile, lasciando sulla sinistra alcuni ponticelli traballanti e malconci che attraverseremo al rientro e ci dirigiamo verso il Fosso dell’Acqua Alta. Qui, ignorando il guado più a valle, attraversiamo il torrente in precario equilibrio su una struttura di legno adagiata sui massi scivolosi. Un sentiero si apre nella boscaglia, risalendo lungo il crinale ed in poco tempo ci troviamo dinanzi alle straordinarie Tombe Doriche, probabilmente le più recenti tra i complessi funerari di Norchia, che con il loro stile che tradisce una forte influenza ellenistica sono state datate al terzo secolo a.C. Le due tombe, costruite nel tufo, si affiancano orgogliosamente l’una accanto all’altra e all’epoca avranno sicuramente destato una forte impressione su chi le avrebbe ammirate dal basso e dalla città. Inoltre, sono di una tipologia rara, dato che tombe di questo tipo (ovvero che rievocano la struttura di un tempio dorico) si trovano solo a Sovana, in Toscana! Non dobbiamo poi dimenticare che le tombe, e qualche traccia è ancora oggi visibile, sarebbero state affrescate ed intonacate con colori vivaci e sgargianti. Il portico è crollato da tempo e una parte del frontone della tomba di sinistra è stato asportata e portata al museo archeologico di Firenze ma si nota ancora il fregio dorico coronato dai due timpani.
Noto immediatamente il Gorgoneion, con il suo sorriso beffardo ed insolente; Medusa posta a guardia delle tombe e protettrice apotropaica da spiriti maligni ed avversità, silenziosa guardiana del fosso dell’Acqua Alta per l’eternità.
Nei timpani, purtroppo in condizione pessima, si notano le figure e gli apparati decorativi che all’epoca avrebbero raffigurato qualche mito etrusco, rituale o evento significativo. Si riconoscono figure che potrebbero essere identificate come guerrieri, sacerdoti ma anche divinità, demoni e geni alati, il Charun (Caronte Etrusco), Tuchulcha o Vanth, o come scritto altrove, Venere Libitina che presiedeva ai funerali e ai riti dovuti ai morti. Delle armi appese (una spada, un elmo, un grande scudo) sarebbero state ben visibili ai tempi di Dennis, che a proposito della scena scrive:
“No — he must have been an Etruscan in blood and creed; for this same procession shows certain peculiarities of the Etruscan mythology — the winged genius of Death, with three other figures in long robes, bearing twisted rods — those mysterious symbols of the Etruscan Hades — conducting the souls of two warriors with funeral pomp, just as in the Typhon-tomb at Corneto.”
Delle scale laterali permettono un’ascesa rapida allo spazio sopraelevato da cui si ammira il Fosso. Facendo attenzione da questo punto non posso che ammirare la monumentalità del sito. Sicuramente le famiglie che hanno costruito questi due sepolcri non hanno badato a spese in un’epoca in cui le fortune di Tarquinia volgevano al tramonto.
Prima di proseguire lungo l’esplorazione ammiriamo anche la pregevole finta Porta a rilievo, emblematica porta liminale chiusa simbolicamente per separare il mondo dei viventi da quello dei defunti.
Pare che nel 1993 tra le due tombe sia stato rinvenuto un altro ambiente sepolcrale che custodiva una defunta accompagnata da un corredo semplice ma particolarmente interessante per la presenza di un paio di sandali di legno e cuoio preservati presso il Museo di Viterbo - dovrò indagare!
Arrivati al fiume Biedano, troviamo un fiume gonfiato dalle piogge recenti e riconosciamo immediatamente un passaggio fattibile in un albero caduto recentemente. L’attraversamento non è difficoltoso e sul tronco notiamo immediatamente degli escrementi di volpe! Non siamo gli unici ad aver approfittato di questo ponte naturale!
Cerchiamo invano nella vegetazione la Tomba Lattanzi con la sfinge (datata al quinto secolo a.C.) ma senza coordinate GPS e con la vegetazione molto fitta dell’altra sponda del Biedano rinunciamo. Dovrebbe trovarsi alla corrispondenza della confluenza dei due torrenti nel Biedano ma riscontriamo le stesse difficoltà di Dennis, che scrive:
“I sought in vain for one described by Orioli as having a trapezium cut in the rock above its façade, in all probability to represent the roof to that sort of cavaedium which Vitruvius terms displuviatum. Nor could I find another, said by the same antiquary to have a sphinx in prominent relief on each of the side-walls of the façade.”
La Tomba, della famiglia Churcle, pare sia appunto particolarmente difficile da trovare e non ci resta che tentare nuovamente in un futuro prossimo. Dalle descrizioni la tomba dovrebbe essere composta da due piani sovrapposti, con un portico (crollato) e delle gradinate monumentali ma soprattutto i resti di una sfinge, posta a protezione dei defunti e custode di enigmi.
Non avendo coordinate specifiche ma solo un’idea vaga di dove possa essere l’elemento forse più straordinario di Norchia, attraversiamo la fitta boscaglia e risaliamo per un fosso sul pianoro di Monte Romano (ATTENZIONE: è spesso luogo di esercitazioni militari), un brullo scenario agricolo interrotto solo da rovine e mandrie di mucche maremmane, scrutando all’orizzonte uno squarcio nel pianoro che possa indicare la posizione di quello che cerchiamo. Inizialmente ci avventuriamo in un fossato che si allarga fino ad arrivare in un punto terminale: sotto i nostri occhi si apre la straordinaria Via Cava nota come Cava Buia. Proviamo le vertigini poiché ci troviamo all’improvviso sull’orlo di un fossato di almeno dieci metri scavato nella roccia e ci rassegniamo a dover ripercorrere il nostro fossato per trovare un accesso più sicuro. Rientrando sul pianoro, dopo circa 300 metri trovo l’ingresso della Cava Buia, sbarrato da una recinzione posta per impedire alle mucche di accedere.
La Cava Buia si estende per più di 400 metri ed è interamente tagliata nella roccia, con un dislivello di 40 metri tra il pianoro e il fosso del Biedano. E’ un’opera straordinaria che mi porta a riflettere sul significato di questi percorsi misteriosi che gli Etruschi hanno lasciato ovunque nel Lazio settentrionale e nella Toscana meridionale. Lungo il percorso si notano delle croci intagliate nella roccia, poste forse lì come protezione da parte di timorosi pellegrini cristiani, spaventati dall’energia “pagana” tramandata da quei percorsi antichi e monumentali.
Non troviamo però l’iscrizione che recita Clodio Tallio C. Clodius Thalpius (ua) P (ecunia) XXXX MD (edit) che secondo alcuni potrebbe identificare il percorso che stiamo percorrrendo con la Via Clodia (che collegava Blera con Tuscania), secondo altri del lavoro di un liberto del primo secolo a.C.
In ogni cosa poco importa - attraversiamo la Cava Buia lentamente, un po’ per il percorso umido e poco agevole, un po’ per la straordinaria natura di un luogo insolito e misterioso. Giunti alla fine della Cava Buia, notiamo sulla destra delle pestarole utilizzate in passato per pigiare l’uva e raccogliere il mosto e proseguiamo lungo la roccia fino a trovare una rientranza, uno strano muretto a secco e una piccola cascata (forse un romitorio medievale?).
La vegetazione è fin troppo fitta e rientriamo, scendendo lungo il corso del fiume, passando i resti del ponte romano del quale rimane un solo pilone (un ponte in opera quadrata di tufo, dalla lunghezza di 35 metri e la larghezza di quasi cinque metri) per trovare finalmente un guado poco agevole ma che ci permette di avvicinarci all’acropoli della città. Risaliamo un sentiero non marcato che si arrampica lungo i muraglioni di tufo, fino a trovare una scaletta moderna ed infine la porta medievale in blocchi di tufo.
Poco più in alto, sulla destra intravediamo la sagoma della chiesa medievale e romanica di San Pietro (IX sec. a.C.) di cui rimane in piedi gran parte dell’abside con alcuni interessanti dettagli architettonici. Ci sediamo tra i fiori selvatici a contemplare il paesaggio aspro e selvaggio che ci circonda e a riposarci dopo le fatiche della Cava Buia. La chiesa, forse costruita proprio sul sito di un antico tempio etrusco-romano, ha una colorazione particolarmente accesa in quest’ora del pomeriggio ed intorno a noi notiamo delle aperture e dei fossi, forse antichi pozzi medievali.
Proseguiamo lungo il sentiero ben visibile e raggiungiamo in poco tempo i resti del Castello dei Di Vico, famiglia Ghibellina sconfitta da Papa Eugenio IV nel 1435, che distrusse il castello e prese possesso di Norchia. Le mura sono ancora in piedi ma la vegetazione ammanta gli spazi interni rendendo difficile l’esplorazione del sito.
Infine, proseguendo lungo il sentiero giungiamo presso un colombario cristiano, posto a strapiombo sopra il fosso del Biedano, uno dei tanti luoghi medievali di sepoltura posti sull’acropoli. Attraversando l’acropoli ritroviamo il sentiero che scende al Fosso Pile da dove possiamo ammirare la monumentalità scenografica della necropoli visitata all’inizio dell’escursione e scendiamo, attraversando uno dei ponticelli del Fosso Pile per poi ritrovare il percorso nella necropoli e rientrare alla macchina solitaria sotto gli eucalipti.
Chiudiamo con le parole di Dennis, che descrive così il suo arrivo da Vetralla a Norchia:
“In the ravines is always more or less of the picturesque; yet their silence and lonesomeness, their woods almost stript of foliage, and dripping with moisture, have a chilling effect on the traveller's spirits, little to be cheered by the sight of a flock of sheep pent in a muddy fold, or of the smoke of the shepherd's fire issuing from a neighbouring cave, suggestive of a savage comfort.”
Non sembra essere cambiato molto da allora! Torneremo sicuramente a Norchia per trovare le tombe mancanti e la vicina necropoli di Sferracavallo.
Norchia si raggiunge lungo la stradale Vetralla-Monte Romano in località Cinelli. Dopo circa 7 km si parcheggia l’automobile alla fine di una strada dove inizia un percorso sterrato nei campi.
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